“O hacemos esto o lo pagaremos tod@s”. Questo il messaggio lanciato dalle piazze spagnole di questi ultimi giorni. O scendiamo in piazza e proviamo a costruire una vera democrazia, o le conseguenze della crisi ed il fallimento di questo modello di sviluppo le pagheremo tutti e tutte. Da questa consapevolezza nasce e cresce il percorso che porterà il 15 ottobre a riempire le piazze di tutta Europa. Oltre alla naturale indignazione rispetto a tutto quello che di negativo avviene in Europa, come nel resto del mondo, il messaggio contiene elementi di consapevolezza nuova e discontinuità rispetto al passato. La critica contenuta non è parziale ne indirizzata verso un pezzo del sistema di cui se ne chiede la riforma: la critica è rivolta a tutto il sistema (modello capitalista) ed alla struttura (democrazia rappresentativa) nel suo complesso. Si denuncia come questa crisi sia sistemica e strutturale, non congiunturale come i poteri forti vorrebbero far credere. In egual misura ed allo stesso tempo si comprendono i limiti di una democrazia rappresentativa che nella migliore delle ipotesi è inadeguata, nelle peggiori si fa addirittura interprete dei disegni e delle infauste misure chieste dalla governance (BCE, FMI, WTO, grandi multinazionali, BM, ecc..). Non c’è l’aspirazione velleitaria di organizzare l’indignazione ma la consapevolezza di poter uscire dalla crisi solo attraverso una maggiore partecipazione; allo stesso modo non si vuole essere collaterali o fare da stampella a ciò che rimane della democrazia rappresentativa.
C’è dunque una qualità diversa nella sostanza dei movimenti che si apprestano a riempire le principali piazza europee il prossimo 15 ottobre. Di questo parleremo nella mattinata del 24 settembre a Roma, presso l’ex cinema Palazzo nel quartiere di San Lorenzo, durante l’assemblea convocata da Uniti contro la crisi ed aperta a tutti i soggetti che condividono la necessità e l’urgenza di costruire l’alternativa a questo modello. Un percorso lanciato circa un anno fa che ha trovato nelle lotte dei lavoratori, delle donne, dei comitati territoriali, per la difesa dei beni comuni e del diritto allo studio il punto di convergenza. Oggi la dinamica va allargata ed è in discussione la qualità stessa ed il ruolo dei movimenti in questa fase nuova della storia segnata dalla crisi irreversibile del modello capitalista e dallo sconvolgimento dei cicli naturali. Due questioni strettamente legate: la crisi economica e le misure proposte non solo hanno esiti catastrofici da un punto di vista sociale (come dimostrato dalle manovre di questi ultimi anni e dai dati sull’impoverimento) ma aumentano la crisi ecologica e riducendo biodiversità restringono gli spazi di sopravvivenza per tutti e tutte. Meno spazio bioriproduttivo si traduce in più egoismo e maggiore esclusione sociale nella matrice valoriale capitalista. Un circolo vizioso destinato all’implosione.
Come uscirne e quale sarà la conclusione di questa crisi? Che tipo di società prenderà forma alla fine della contrapposizione tra democrazia e oligarchia? Il rischio, in assenza di una spinta forte e contrapposta a quella che punta allo svuotamento della res pubblica, è quello di assistere alla nascita di un nuovo fascismo che sappia rimpiazzare le macerie della democrazia. Mettere in campo un pensiero lungo capace di rispondere in maniera interdisciplinare ed interconnessa agli obiettivi di breve, medio e lungo periodo è invece la sfida a cui dobbiamo rispondere. Scavare bene la traccia affinché l’albero del cambiamento abbia radici solide e profonde, così da consentirne la crescita in tutta la sua estensione.
Trenta anni di neoliberismo hanno reso evidente l’esclusione massiccia del lavoro, l’erosione dei salari e dei diritti sociali, la concentrazione sempre maggiore della ricchezza in poche mani, la ferocia della competizione nel mercato globale, la distruzione ambientale, l’inquinamento planetario diffuso e gli sconvolgimenti climatici. Un’ingiustizia globale alla quale è possibile rispondere solo se si creano le condizioni per un clima di giustizia. Da trenta anni, quindi, stanno obbligando diverse generazioni a contare all’indietro invece che in avanti. Considerando infatti che investimenti e profitti sono disgiunti da occupazione e qualità del lavoro, abbiamo bisogno di una radicale inversione dei processi produttivi se vogliamo garantire reddito, salvaguardia dell’ambiente e delle condizioni di riproduzione della vita. Abbiamo bisogno di una III° Rivoluzione Industriale che introduca l’era del Sole per ciò che riguarda le fonti, e sia organizzata attraverso il decentramento e la partecipazione per ciò che riguarda le forme e le pratiche di produzione e consumo. Qui non si tratta più di cambiare marcia per favorire la crescita ma di cambiare rotta per garantire l’accesso ai diritti basici fondamentali e ripristinare una relazione virtuosa tra essere umano e vita nel suo complesso. Il tutto a partire dall’elemento che rappresenta il centro da cui far partire il riscatto: la partecipazione. Proprio perché abbiamo bisogno di un approccio plurale per ribaltare la crisi, è la partecipazione l’elemento fondamentale che garantisce lo sviluppo e la coesione del paese. Ma come dicevamo in precedenza, i movimenti che il 15 ottobre scenderanno in piazza sono consapevoli del fatto che difficilmente le attuali classi politiche assumeranno la necessità del cambiamento come obiettivo. Sarebbe velleitario immaginare un’insubordinazione delle forze progressiste del parlamento europeo contro la politica di austerità imposta dalla Bce. La partita invece rimane aperta a livello locale, grazie all’impulso che i movimenti ed i nuovi soggetti nati sui territori sono in grado di dare attraverso la democrazia partecipata e comunitaria. È lì che si possono ricongiungere ed esprimersi al meglio i nessi con la democrazia di prossimità, le amministrazioni locali. La privatizzazioni dei servizi pubblici attuata dalla manovra finanziaria deve essere contrastata anche in tal senso, perché restringe il campo dell’azione dei movimenti e della società civile, cancellando il terreno di ricostruzione democratica dove la sfida rimane aperta, come dimostra la vittoria referendaria sull’acqua. È quello il terreno dove democrazia partecipata e comunitaria si possono incontrare, restituendo senso al paradigma diritti/responsabilità che individua il legame indissolubile di una comunità di destino. Anche su questo il 24 settembre proveremo a discutere con gli amministratori che nei territori sono costretti a subire i tagli del governo, rischiando di non essere più in grado di rispondere alle esigenze immediate dei cittadini. Difesa dei beni comuni, terza rivoluzione industriale, reddito di cittadinanza, nuova istituzionalità sociale: sono queste le alternative che mettiamo in campo per rispondere alla crisi in Italia ed in Europa. È questo il nostro contributo alla giornata del 15 ottobre ed alla prospettiva che dal giorno dopo saremo chiamati a perseguire.
pubblicata in Il Manifesto 22 settembre 2011