La felicità di Nawal

Tiziana Perna

Il Cairo, Egitto. Medico, scrittrice, giornalista, femminista e attivista per i diritti umani, è in piazza dal 25 gennaio, giorno in cui è esplosa la rivolta del popolo egiziano.

Nonostante i suoi 80 anni, lei, che ha sofferto la prigione e l’esilio, è per le strade del Cairo ogni giorno. In rete si rintraccia una sua intervista. Risale al 2 febbraio scorso, giorno in cui i sostenitori di Mubarak attaccano piazza Tahrir a colpi di pietre e bastoni.

Gli hanno dato 50 pounds e un pollo per venire a farci del male, per spaventarci” – dice alla telecamera – “ma noi non abbiamo paura. I miei figli mi dicono di tornare a casa, che può essere pericoloso. Ma io non tornerò a casa. Voglio stare qui, ho 80 anni e finalmente sono felice”.

Il volto, incorniciato da due trecce di capelli bianchi candidi, si illumina in un grande sorriso, lo stesso che da piccola doveva allenarsi a contenere, perché sconveniente per una donna, così come racconta nella sua autobiografia, “Una figlia di Iside”.

Nawal al Sa’dawi nasce in un piccolo villaggio, Kafr Tahla, nel 1931, secondogenita di 9 figli. Il padre partecipa alle rivolte del 1919 contro l’occupazione inglese e poi diventa un oppositore del re e del governo, e per questo subirà, insieme alla sua famiglia, 10 anni di confino, nonostante il prestigioso incarico presso il Ministero dell’Istruzione. La madre, che la proteggerà sempre dai matrimoni combinati dalla famiglia, le insegna a scrivere e a leggere, eppure non riuscirà ad impedire che venga sottoposta alla mutilazione genitale all’età di 6 anni.

Questo evento, che gli raccontano sia voluto da dio in persona, segna per Nawal l’inizio di un percorso di ribellione, durato una vita intera.

Se provo a ricordare cosa è successo quando sono venuta al mondo, tutto quello che so è che sono nata donna” scrive, raccontando del silenzio che cala in una casa quando nasce una femmina, al contrario degli evviva che si levano alti quando arriva un maschio, dono di dio.

Eppure la madre le darà il nome Nawal, dono, appunto. Presagio di una vita controcorrente che la vedrà rifiutare un matrimonio da bambina e tradizioni ancestrali che vogliono le donne rinchiuse in casa e inadatte a studiare.

“Una figlia di Iside” è la coraggiosa autobiografia di Nawal al Sa’dawi che esce quando lei è già una scrittrice riconosciuta a livello internazionale ma ancora in esilio negli Stati Uniti.

E’ il racconto soprattutto dello spazio della sua infanzia, dell’ammirazione per un padre-eroe, e dell’amore infinito per la mamma che la proteggerà sempre dall’oscurantismo e da una tradizione che tradisce l’intelligenza della piccola Nawal, che arriverà a scrivere direttamente una lettera a quel dio di cui sente tanto parlare, per chiedergli conto personalmente delle mutilazioni genitali che lei ha subito.

L’impegno nella scrittura inizia ad andare di pari passo con quello della sua professione di medico. E da medico donna inizia a conoscere in profondità la condizione delle donne e la mancanza di libertà nel suo paese, fino a quando tenta di impedire che Masouda, una ragazza di 17 anni curata per le violenze fisiche da parte del marito, venga riaffidata al consorte. Quest’atto le costerà l’accusa di “mancanza di rispetto per i valori morali e i costumi della società egiziana”, la prima di una lunga serie di persecuzioni giudiziarie. Masouda verrà riconsegnata al marito che di lì a poco tempo la ucciderà soffocandola.

Nel 1981, sotto il regime di Sadat, viene arrestata per il suo impegno politico. Anche dopo la sua liberazione viene tenuta costantemente sotto osservazione da parte della onnipresente polizia segreta egiziana. Per le sue battaglie in difesa delle donne, finisce anche nella lista nera dei movimenti fondamentalisti islamici. Perseguitata e minacciata sia dal regime politico che dai fondamentalisti, è costretta all’esilio negli Stati Uniti, dove resterà per 15 anni, insegnando alla Duke University.

Torna a vivere nel suo paese solo nel 2006, ma i suoi articoli, saggi e le sue opere di narrativa hanno diffusione all’estero, ma non in patria. Nell’Egitto di Mubarak, Nawal al Sa’dawi non la pubblica nessuno, nonostante i tanti riconoscimenti internazionali e le traduzioni in tutto il mondo.

Il suo primo libro pubblicato risale al 1960 e nella sua lunga carriera alternerà saggi militanti a opere di narrativa. La sua produzione letteraria non abbandona mai i temi a lei più cari, ed è con “Firdaus” che si impone come narratrice dotata di grande potenza narrativa.

“Firdaus” è un romanzo durissimo, crudo e asciutto. E’ il lungo racconto raccolto dalla Sa’dawi stessa, di una donna in carcere in attesa di essere giustiziata, per aver osato ribellarsi alla violenza maschile, una vita di umiliazioni, sofferenze e prostituzione, che la porterà ad uccidere l’ennesimo uomo che proverà a farle del male.

Da Firdaus in poi continuerà a raccontare la società egiziana e la condizione delle donne con coerenza e passione, perché “la parola donna urta le orecchie come una scheggia di vetro” isolata e minacciata dalle istituzioni del suo paese, amata e protetta da tanti, uomini e donne, con cui ha condiviso passioni e battaglie.

Non poteva non essere in piazza Tahrir Nawal al Sa’dawi, in mezzo a un popolo intero, una folla di uomini e donne, che hanno vinto la paura e cacciato il tiranno.

Felice, lei donna libera tra donne finalmente libere di essere felici.

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