Siria. L’aria e’ cambiata in Siria da quando sono arrivata un mese fa, e non solo perche’ e’ scoppiata prepotentemente la primavera metereologica. Del resto sarebbe stato difficile credere che la primavera araba non avrebbe toccato un paese cosi’ importante e significativo per la regione come la Siria. Un mese fa la paura di parlare di politica, di esprimere dissenso era totale, nei caffe’ ci si guardava continuamente intorno per vedere se agenti della polizia segreta, il temuto mohabarat, stessero ascoltando e osservando. Ora la paura e’ ancora presente, gli agenti dal mohabarat ancora attivi, si avverte tensione e preoccupazione, ma non si puo’ fare finta che non sia accaduto niente. Dal quindici marzo in un’ondata di proteste senza precedenti migliaia di manifestanti sono scesi in piazza a Daraa, Latakia, Homs, Hama ed altre localita’ del paese per chiedere riforme, liberta’, la fine dello stato d’emergenza, la liberazione dei prigionieri politici. Non si sono viste le folle oceaniche come in Piazza Tahrir a il Cairo ma questi eventi erano impensabili fino ad alcune settimane prima nel sistema siriano dove dal 1963 e’ in vigore lo stato d’emergenza che proibisce ogni dissenso e la popolazione vive sotto il controllo della polizia segreta. Il primo episodio si e’ registrato gia’ il 18 Febbraio nel mercato centrale (suq ) di Damasco, quando due poliziotti hanno picchiato il figlio di un negoziante, un genere di incontro con l’aurorita’ che vivono spesso i cittadini dei paesi arabi, e nel giro di qualche ora si e’ radunata una folla di mille persone che urlava “il popolo siriano non puo’ essere umiliato”. E’ intervenuto personalmente il Ministro degli Interni assicurando un’indagine sull’episodio. Il video della scena ha avuto una enorme diffusione su youtube, il cui accesso, insieme a facebook, era stato liberalizzato ad inizio febbraio. Una scena senza precedenti in Siria, indicativa di come la popolazione sia soprattutto stanca di subire una burocrazia autoritaria e corrotta.
La rivolta’ e’ partita da Daraa, cittadina rurale conservatrice al confine con la Giordania, anche in questo casa legata ad episodio specifico: la liberazione di 15 teenagers arrestati per aver scritto dei graffiti contro il regime galvanizzati dai moti tunisini ed egiziani. Venerdi’ 18 marzo, chiamato giorno della dignita’, la prima manifestazione repressa dalla polizia ha provocato quattro vittime. Il giorno seguente, i funerali delle vittime, considerate martiri, a cui hanno partecipato migliaia di persone si sono trasformate in nuove proteste, con nuove repressioni e nuove vittime. Quando sono stata a Daraa, con un bus di linea perche’ la citta’ e’ circondata da soldati e non e’ permesso l’ingresso ai giornalisti, ha avuto la sensazione che tutta la citta’, non solo le espressioni piu’ religiose, fosse compatta dietro la rivolta, si sentisse ferita nella propria dignita’, “karama”, un concetto fondamentale per capire la natura delle rivolte nei paesi arabi. Questa spirale manifestazioni-repressione-vittime ha allargato la protesta a villaggi vicini a Daraa e ad altre citta’. A Latakia, citta’ portuale multi religiosa, da cui proviene la famiglia Assad, cecchini hanno sparato dai tetti contro manifestanti causando dodici vittime. Secondo l’agenzia ufficiale Sana si tratta di bande armate che tentano di terrorizzare la popolazione e di alimentare uno scontro interreligioso, secondo gli attivisti si tratta delle stesse forze di sicurezza speciali e di milizie para-governative. Venerdi’ primo Aprile, il terzo venerdi’ di manifestazioni, definito “giorno dei martiri”, con chiamata alla mobilitazione fuori dalle moschee dopo la preghiera, uno degli slogan era “il sangue dei martiri non e’ invano”, “con i nostri corpi e le nostre anime ci sacrifichiamo per te Daraa”. Le forze di sicurezza hanno provocato dieci vittime a Duma, sobborgo vicino Damasco.
Lo spettro di un conflitto settario e confessionale e’ particolarmente avvertito dalla popolazione siriana, che ha ben presenti i casi dei vicini Iraq e Libano. La Siria e’ un paese multi religioso e multietnico: oltre ad una maggioranza sunnita (circa 75%), sono presenti alauiti, una setta sciita a cui appartiene la famiglia Assad e da cui provengono i vertici dell’apparato militare e politico (12%), cristiani di vari riti (circa 8%), druzi, ismailiti. Una significativa porzione della popolazione (circa il 15%) e’ di etnia curda, concentrata soprattutto nel nord-est del paese. Secondo organizzazioni dei diritti umani circa 300,000 curdi non hanno cittadinanza siriana e sono privi di diritti. Il regime secolare nazionalista del partito Baath ed la concentrazione del potere nelle mani della minoranza alauita ha garantito stabilita’ ed equilibrio interno tra le varie comunita’.
Le proteste in Siria sono variegate come la composizione comunitaria e geografica del paese: e’ sicuramente forte la componente dell’islam politico che rivendica maggior potere cosi’ come ci sono i ragazzi della generazione face book, del tutto simili ai loro coetanei egiziani, che utilizzano twitter ed il gruppo facebook “Syrian revolution 2011”, ma sembra che tutti convergono nella richiesta fondamentale: hurryat, liberta. Che praticamente significa via lo stato d’emergenza e l’apparato del mohabarat, elezioni libere e multipartitiche, media indipendenti, liberazione dei prigionieri politici.
Il regime ha risposto con il bastone e la carota: repressione violenta che ha causato trenta vittime secondo fonti governative ed oltre centro secondo attivisti e difensori dei diritti umani, ma anche alcune concessioni (nuovo esecutivo, sostituzione del governatore di Daraa e Homs, concessione della cittadinanza ai curdi apolidi) e promesse di riforme.
Il presidente Bashar Al Assad, dopo aver tenuto il paese in sospeso per giorni, ha parlato in un attesissimo discorso in cui ha accusato una cospirazione internazionale di voler destabilizzare la Siria e ha reiterato vaghe promesse di riforme, senza alcun impegno concreto come la cancellazione dello stato d’emergenza che molti si aspettavano. Larga parte della popolazione e’ rimasta delusa, anche se la popolarita’ del presidente rimane alta.
Nei raduni organizzati a sostegno di Assad si vedeva autentico supporto. E anche nelle manifestazioni di protesta non si sentono (ancora) urlare slogan come “il popolo vuole abbattere il sistema”.
Ma ormai nessuno, neanche la televisione ufficiale, puo’ fare finta che non esistano manifestazioni di protesta e dissenso. Gli scenari futuri sono difficili da prevedere.
Il presidente ha promesso riforme politiche e democratiche, ma erano attese gia’ dieci anni fa quando Bashar e’ subentrato al padre Hafez, e sono arrivate solo le liberalizzazioni economiche che hanno aumentato la disparita’ tra ricchi e poveri. In tanti diffidano che l’elite al potere implementi quelle riforme da cui sarebbe penalizzata.
Allo stesso tempo la popolarita’ del presidente Bashar Al Assad, dovuta in larga parte alla sua immagine personale e alla politica estera siriana non accomodante verso gli Stati Uniti ed Israele, la paura dell’instabilita’ e del conflitto interconfessionale che potrebbe scoppiare con la caduta del regime, il pervicace sistema di repressione del dissenso, un’opposizione debole e divisa fanno si’ che al momento questi fuochi di rivolta divampati in varie localita’ del paese non rappresentino una vera minaccia per il regime siriano. Ma sono abbastanza seri da provocare delle reazioni da parte del governo e da preoccupare la popolazione sul futuro del paese.
Come negli altri paesi arabi, anche in Siria un’intera generazione chiede liberta’, dignita’, la fine della pura, un sistema di autorita’ non corrotto e nepototistico, migliori condizioni economiche. Domande a cui e’ difficile dare una risposta, ma e’ impossibile negarla.